È notizia di pochi giorni fa il bando di Trump da parte dei social network più usati al mondo: Facebook, Instagram e Twitter. Si tratta di censura ingiustificata o reazione giusta?
Poche ore dopo l’assalto al Congresso statunitense da parte di facinorosi antidemocratici, i magnati dei social Facebook, Instagram e Twitter hanno deciso di bloccare i profili di Trump, impedendogli, di fatto, di comunicare. Si tratta di un blocco di 12 ore su Twitter e di un blocco a tempo indeterminato su Facebook e Instagram.
I MOTIVI DI ZUCKERBERG
Mark Zuckerberg, l’ideatore e il proprietario di Facebook, ha spiegato in un post i motivi che hanno condotto la piattaforma social ad assumere la decisione di eliminare dei post di Trump e, di seguito, bloccargli il profilo.
Secondo Zuckerberg, «gli eventi shock (riferendosi all’assalto a Capitol Hill) hanno dimostrato che il Presidente Donald Trump intende usare il tempo residuo in carica per minare la pacifica e legale transizione di consegne al suo successore eletto, Joe Biden. La sua decisione (di Trump) di usare Facebook per condonare piuttosto che condannare le azioni dei suoi sostenitori al palazzo del Congresso ha giustamente disturbato la popolazione degli Stati Uniti e di tutto il mondo. Per tale motivo, Facebook ha rimosso le sue frasi, in quanto hanno ritenuto che il loro effetto – e, probabilmente, anche il loro intento, avrebbe potuto provocare ulteriori violenze. (…) Negli ultimi anni, Facebook ha permesso al Presidente Trump di usare la piattaforma conformemente ai Termini, rimuovendo i contenuti o etichettando i suoi post quando violavano le policies interne. Facebook lo ha fatto perché crede che il pubblico ha il diritto al più ampio accesso possibile al discorso pubblico, anche se è discutibile. Ma il contenuto corrente è ora fondamentalmente differente, in quanto invoglia l’uso della piattaforma per incitare l’insurrezione violenta contro un governo democraticamente eletto. Facebook crede che il rischio di consentire al Presidente di continuare a usare il servizio durante questo periodo sono troppo grandi. Perciò si sta estendendo il blocco che posto sugli account Facebook e Instagram in un termine indeterminato e per almeno le prossime due settimane finché la transizione pacifica di potere sia completa”.
BLOCCO GIUSTO O CENSURA INGIUSTIFICABILE?
Il blocco degli account di Facebook, Instagram e Twitter ci deve far riflettere. È necessario riflettere, in particolare, sul confine e sul rapporto che insiste tra l’utilizzo di piattaforme di proprietà privata e i servizi che queste offrono.
Fino a che punto è possibile giustificare il blocco degli account di Trump?
PRIMA IPOTESI: BLOCCO GIUSTIFICATO
In molti, da ogni parte del mondo, hanno accolto con favore la notizia relativa alla messa al bando di Trump dai social network. Un’azione che, a detta di molti, sarebbe giustificata dalla violazione delle Condizioni d’uso e degli Standard della Community delle singole piattaforme private. Condizioni che chiunque è costretto ad accettare per poter utilizzare tali piattaforme.
Prendiamo, ad esempio, Facebook. La piattaforma può essere usata da tutti, ma il suo uso è proibito a
- utenti che hanno meno di 13 anni;
- utenti condannati per violenza sessuale;
- utenti con account disabilitati in precedenza per violazione delle Condizioni o Normative di Facebook;
- utenti non autorizzati dalla legge applicabile a ricevere prodotti, servizi o software di Facebook.
Secondo le Condizioni d’uso, Facebook può rimuovere post o bloccare account, fino a giungere alla sua chiusura, qualora violi gli standard della Community. Si tratta di regole interne a Facebook, basate sui pareri ricevuti dagli utenti e dai consigli di esperti nelle materie di tecnologia, sicurezza pubblica e diritti umani.
I contenuti “banditi” da Facebook sono tutti i comportamenti criminali come violenza e istigazione alla violenza, pubblicazione di attività criminali o di beni illegali, frode, truffa; i comportamenti che minano la sicurezza degli utenti come atti di suicidio o autolesionismo, sfruttamento sessuale, abusi e nudi di minori, bullismo e intimidazioni, sfruttamento di essere umani, violazione della privacy; i contenuti deplorevoli, cioè che incitano all’odio o che consistono in immagini forti e violente, di nudo, di atti sessuali, che esprimono crudeltà e insensibilità o adescamento.
Di conseguenza, a valle di questo lungo e completo elenco di comportamenti che la Community di Facebook mette al bando, si potrebbe ritenere che l’azione di Zuckerberg, così come quella del magnate di Twitter, sia giustificata. Se si ritiene, infatti, che Facebook, Instagram, Twitter e gli altri social network siano un semplice luogo privato, allora potrebbe concludersi ritenendo giusto che, a seguito di una violazione delle norme interne, faccia seguito una “sanzione interna”, quale il blocco dell’account.
SECONDA IPOTESI: QUALI SONO LE PROSPETTIVE FUTURE?
Si può (continuare a) ritenere che i social network siano delle mere e semplici piattaforme private? O meglio: si può escludere una qualsiasi valenza pubblica del servizio offerto da queste piattaforme?
Il dubbio è lecito ma la risposta non è di facile e immediata soluzione, tutt’altro. Sono maggiori gli interrogativi delle risposte che potrebbero darsi.
Andiamo con ordine.
Le piattaforme social sono diventate, ormai, una vera e propria piazza virtuale. Una piazza ove l’utente diviene, per certi versi, cittadino. Dove si esercitano diritti e, talvolta, si commettono illeciti civili e penali. Si pensi ai reati di diffamazione, di sostituzione di persona, di usurpazione di titoli od onori, o al vilipendio della religione dello Stato.
Una piazza virtuale, dicevamo. Un luogo ove incontrare virtualmente amici e conoscenti, ove lavorare, vendendo i propri prodotti o pubblicando il proprio annuncio pubblicitario. Uno strumento di contatto con il mondo esterno che non trova limiti. Una piazza che potremmo giungere a ritenere infungibile, insostituibile con le altre.
Non possiamo infatti ignorare che tali piattaforme siano insostituibili l’una all’altra. Questo sia per il differente tipo di utilizzo cui sono finalizzate, sia per la loro maggiore o minore partecipazione da parte degli utenti.
Pensiamo, ad esempio, alla differenze che intercorrono tra Facebook, Instagram e Twitter: il primo utilizzato per la condivisione dei più svariati contenuti, da testi, a documenti, fino a video e immagini; Instagram dedito alla condivisione di immagini e Twitter pensato per brevi commenti. Non solo. Guardiamo, poi, alla divergenza tra i social in termini di utenti, in numero e target. Su Facebook vi sono una moltitudine di utenti, maggiori e diversi rispetto ad altre piattaforme come, ad esempio, Twitch o Tinder. Allo stesso modo, diverse tra loro sono anche altre piattaforme di comunicazione. Basti pensare a Whatsapp e Telegram: due social di messaggistica istantanea con (quasi) le stesse funzionalità ma con una platea di utenti completamente diversi.
Da ciò ne discende che, per poter utilizzare l’una o l’altra piattaforma, quale “unico” mezzo di comunicazione con amici o conoscenti, si è costretti ad accettare termini e condizioni – talvolta con l’apposizione di clausole vessatorie per il consumatore. L’accettazione delle condizioni generali è l’unico modo che si ha per utilizzare queste applicazioni che offrono un servizio infungibile perché su tali piattaforme vi è, ormai, una moltitudine di utenti, amici, parenti.
Se venissimo bloccati dall’utilizzo di queste, verrebbe meno la possibilità di comunicare con chi è a noi più caro.
Siamo al punto.
Fino a che punto è tollerabile che un privato blocchi un utente, impedendogli di comunicare? Su che basi e chi sceglie quale utente bloccare? O meglio: chi sceglie quale Presidente può o non può parlare sui social? Deve essere bloccato solo un utente, in quanto Presidente degli Stati Uniti, per le sue dichiarazioni o sarebbe più giusto un controllo che porti a bloccare chiunque – e qualunque politico – per dichiarazioni gravi, in qualsiasi Paese del mondo?
Se ritenessimo tali piattaforme alla stregua di una società virtuale, di carattere digitale, all’interno della quale riconosciamo diritti e doveri, allora la decisione arbitraria da parte di un privato di sospendere o bloccare un profilo dovrebbe essere sottoposta a discussione, per delinearne i limiti e le condizioni. Magari, si potrebbe pensare all’individuazione di un Garante.
Tante le domande da porsi e che oggi attendono risposta. Risposte che necessitano, però, di una riflessione matura, meditata e scevra da qualsiasi condizionamento personale.
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