Ha fatto scalpore la proposta di Beppe Grillo di un reddito universale da estendere a tutti, poveri e ricchi. Una proposta che, lungi da voler essere uno specchio per le allodole in tempi di crisi da COVID-19, è stata più volte ribadita negli anni da Grillo e da tante voci autorevoli, da lui citate.
Il reddito universale, denominato anche come basic income o come reddito di base incondizionato o come reddito di cittadinanza (in accezione diversa rispetto a quella che assume la misura italiana), può essere definito come un «nuovo contratto sociale grazie al quale si rende possibile, attribuendo un reddito a tutti per evitare la soglia di povertà, lo scambio fra l’utilizzo della natura e l’incentivazione del legame sociale»[1].
In tema di reddito di cittadinanza o reddito universale, si prospettano due modelli alternativi: l’uno prevede criteri selettivi posti a base dell’elargizione del reddito; l’altro predilige un’impostazione universale. A sostegno dell’impostazione selettiva del reddito, si adduce la presunta minore onerosità della misura per il bilancio statale e la maggiore equità sociale[2]. Quanti sostengono l’impostazione universale, ritengono invece che l’erogazione di un reddito universale impatti positivamente anche sulle classi medio-alte.[3]
Il reddito universale al quale si riferisce la proposta di Beppe Grillo è «quel reddito erogato in modo incondizionato a tutti, su base individuale, senza verifica delle condizioni economiche o richieste di disponibilità a lavorare»[4]. Secondo l’Associazione internazionale della diffusione del reddito di cittadinanza, il reddito universale dovrebbe essere riconosciuto a tutti i cittadini, prescindendo dalla condizione soggettiva del percettore, al fine di massimizzare gli effetti positivi sulla società[5].
Beppe Grillo, anni fa, ebbe a raccontare del suo incontro con Muhammad Yunus, economista e premio Nobel per la pace, e della discussione sull’introduzione di un reddito universale. Yunus, già nel 2007, si mostrava molto preoccupato degli effetti dell’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro. L’Intelligenza Artificiale pur essendo una rivoluzione in ambito tecnologico, cela un grande pericolo per il mondo del lavoro: l’utilizzo massiccio dei robot e delle nuove tecnologie sostituirà il lavoro umano e molti mestieri pian piano spariranno.
Muhammad Yunus non è una mosca bianca. A condividere la necessità di un reddito universale sono anche altri economisti come Philippe Van Parijs e Yannick Vamderborght. Secondo questi ultimi, il reddito di cittadinanza o reddito universale dovrebbe essere individuale, quindi attribuito ad ogni soggetto singolarmente, universale, quindi spettante a tutti prescindendo da condizioni soggettive, liquido, cioè tramite elargizione di una somma in denaro, e incondizionato, cioè non sottoposto ad alcun obbligo lavorativo[6]. Il reddito previsto dai due economisti ammonterebbe a ¼ del PIL pro capite, quindi sarebbe una somma di denaro modesta, tale da garantire sicurezza sociale senza disincentivare il lavoro. In Italia, è stato stimato che ammonterebbe a 500€ al mese, così come previsto per l’attuale reddito di cittadinanza italiano, al netto della quota di 280€ aggiuntiva destinata al pagamento del canone di affitto della propria casa.
Alcuni Paesi del mondo, come Stati Uniti, Regno Unito, India, Nuova Zelanda, Hong Kong e Sud Corea, si stanno volgendo verso l’approvazione di un basic income. Pioniera è Zurigo, la prima città ad approvare un reddito di base incondizionato di 2.500 franchi per ogni adulto (pari a circa €2.200 in Italia) e di 625 franchi per ogni minore (pari a €500 in Italia).
Il reddito universale ha molteplici finalità. Secondo le previsioni di Brookings Institution, entro il 2050, con l’inserimento nel mondo del lavoro di 50.000 robot, circa 1/3 dei lavoratori perderà il proprio lavoro. A fronte dell’incremento della produzione e dell’abbassamento dell’occupazione, si presenterà il problema dell’allocazione dei beni prodotti. Il passaggio dall’economia industriale al capitalismo cognitivo deve pertanto essere supportato da un reddito universale. In tal modo, il consumo sarebbe sostenuto e l’uomo deciderebbe quanto e come lavorare.
Per poter sostenere il reddito universale dal punto di vista economico e fiscale le misure potrebbero essere molteplici. Secondo la prospettiva evidenziata da Beppe Grillo, sarebbe necessario eliminare le tasse da lavoro e sul reddito e introdurre al loro posto una tassa sui consumi. Beppe Grillo è solito fare un esempio: “Deve pagare chi produce il pane o chi compra il pane?” La risposta è nella tassazione dei consumi. Quando si compra un caffè, dice Grillo, con 1€ si il caffè, il servizio, l’acqua e tutti i servizi annessi. È necessario scomporre il valore di quell’euro e destinare metà del prezzo di un prodotto a una tassa con cui finanziare il reddito. Si potrebbe anche imporre una tassazione ai grandi colossi digitali e tecnologici, o introdurre le ecotasse come il Climate Income, il Reddito dal Clima, che introduce una tassa nei combustibili. In Alaska, ad esempio, dal 1982 vi è l’Alaska Permanent Fund. Questo consiste in un dividendo sociale con cui si rendono partecipi tutti i membri di una comunità di un dividendo calcolato a partire da un fondo sovrano di proprietà della comunità medesima. Un’altra prospettiva potrebbe essere a mio parere quella di tassare l’acquisizione di dati personali per fini commerciali.
[1] M. Pedrazzoli, Polarizzazione dei lavori e declino della middle class, in Riv. It. Dir. Lav., 2008, 4, p. 445, nel quale l’autore fa riferimento ex multis a P. Van Parjs, Y. Vanderborght, Il reddito minimo universale, UBE, Milano, 2006.
[2] R. Targhetti Lenti, Reddito di cittadinanza e minimo vitale, in Riv. Dir. Fin., 2000, 2, pag. 265
[3] Ibidem.
[4] Traduzione della definizione offerta dallo Sttauto del BIEN, , l’Associazione internazionale per la diffusione del reddito di cittadinanza.
[5] M. Martone, Il reddito di cittadinanza. Una grande utopia, in Riv. It. Dir. Lav., 2017, 1, p. 409.
[6] P. Van Parijs, Y. Vanderborght, Basic Income. A radical proposal for a free society and a sane economy, Harvard University Press, Cambridge, 2017, p. 10 ss.
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